AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

Nostra Signora del Carmelo
colei che ci ha donato lo scapolare

sabato 18 marzo 2017

GESU' PARLA IN PARABOLE - Padre Claudio Truzzi OCD


gesù parla in parabole
1 – Ci sono molte persone che iniziano a leggere la Bibbia, ma si fermano quasi subito, dicendo di non riuscire a capirla. Il linguaggio della Bibbia è per loro incomprensibile, difficile...
Come si spiega tale convinzione, quando, invece, il linguaggio della Bibbia è molto semplice ed elementare? Non ci sono, infatti, parole difficili, astratte, complicate; non ci sono i paroloni dei teologi e dei filosofi; ci sono invece le parole di tutti i giorni, le immagini prese dalla vita quotidiana.
Perché allora ci sfugge la semplicità della Bibbia? Perché non comprendiamo i discorsi di Gesù, il suo linguag-gio povero, le sue parabole che possono essere raccontate anche ad un bambino?
2 – C'è, inoltre, un altro atteggiamento nei confronti della Bibbia: coloro che leggono e credono di capire tutto... arrivano a far dire alla Bibbia tutto quello che passa nella loro mente. Anche in questo caso il significato della Parola di Dio sfugge e viene alterato.
Vale, allora la pena affrontare l'argomento del linguaggio di Gesù e soprattutto il suo parlare in parabole,   così frequente nei Vangeli.
*  GESù è LA PAROLA
Prima di esaminare il linguaggio usato da Gesù, facciamo una considerazione su Gesù stesso.
Gesù è la Parola del Padre. «In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio e la Parola era Dio...» (Gv 1,1). «Dio... ha parlato a noi per mezzo del Figlio... che è irradiazione della sua gloria ed impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua potente parola...». (Ebrei 1,1)
Che cosa significa che Gesù è la “Parola”? Che cos'è la Parola?
La parola è la manifestazione di chi la pronuncia, il suo comunicarsi, il suo farsi conoscere.
Gesù è “la parola del Padre”. Significa allora che Gesù è la manifestazione del Padre, Dio rivelato agli uomini. Per questo è detto: «Dio nessuno l'ha mai visto, proprio il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre , lui lo ha rivelato» (Gv 1,18). E Gesù risponde a Filippo che chiede di vedere il Padre: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre...» (Gv 14,9).
Il Padre si rivela agli uomini in Cristo che ne è la manifestazione, la rivelazione, ossia la Parola.
*  GESù PARLA AGLI UOMINI
è proprio della parola il comunicare. Gesù viene proprio a far conoscere agli uomini i piani di Dio, e per far questo molto insegna, spiega, parla, ammonisce, rimprovera, racconta..
Egli potrebbe scegliere qualsiasi forma di comunicazione e qualsiasi tipo di linguaggio. Ma, che cosa sceglie?
Non i paroloni astrusi dei dotti, dei sapienti, degli scienziati: sceglie invece le parole umane più comuni, la lingua del suo tempo, della sua razza, nella forma più semplice parlata dal popolo.
Il linguaggio che egli ha scelto non è, per questo, valido soltanto per i suoi contemporanei. Se fosse così egli avrebbe scelto di parlare una sola volta, in un certo tempo, perché tutti gli altri uomini, coloro che non sono stati ammessi a sentirlo direttamente, non potrebbero ricevere il suo messaggio.
Gesù ha affermato (Luca 21,33): «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno».
Quindi le parole che pronuncia Gesù non hanno valore e significato soltanto per i suoi contemporanei, ma sono valide per tutti gli uomini di tutte le epoche: sono sempre attuali.
Ma chiediamoci: i contemporanei di Gesù lo capivano? Pochi, molto pochi.
Gli uomini di oggi capiscono Gesù, il suo messaggio? Pochi, molto pochi.
Abbiamo detto che Gesù viene appositamente per parlare agli uomini, per annunciare loro il Regno di Dio, e per far questo sceglie un linguaggio facile, alla portata di tutti, un linguaggio da povera gente, e però sono pochi quelli che lo capiscono...! Siamo di fronte ad un fatto che ha dell'incredibile, se non fosse così frequente, oggi, ieri, all'epoca stessa di Gesù.
• Allora dobbiamo pensare che Gesù non ha scelto la via giusta per farsi capire, non ha scelto il linguaggio giusto? Eppure, se crediamo che egli è Dio, non possiamo che concludere che il linguaggio scelto da Gesù è il migliore sotto ogni aspetto, altrimenti egli non lo avrebbe fatto suo. Non esiste perciò un linguaggio più efficace, veritiero, semplice, accessibile, completo, significativo.
• Allora, qual è la causa che rende così difficile capire ciò che Gesù dice? Così difficile che si rinuncia ad ascoltarlo, a non prenderlo neppure in considerazione, ad agire come se non avesse parlato? A non tenere conto di ciò che ha detto? Eppure sono cose grandi, che riguardano il destino dell'uomo, la vita e la morte, il senso stesso dell'esistenza umana e dell'universo!
Consideriamo dettagliatamente i “singoli problemi”:
– primo: in che cosa consiste il linguaggio in parabole di Gesù, – poi perché ha scelto di parlare in parabole,
– quindi vedremo perché è possibile non capirlo, – e infine che cosa bisogna fare per capirlo.
*  CHE COS' è IL PARLARE IN PARABOLE?
Tutti quanti ricordiamo qualche parabola di Gesù imparata a scuola, alla lezione di catechismo, o anche ripresa, a volte, dalla letteratura, ed entrata nel linguaggio comune.
Le più note parabole di Gesù sono quelle del Figliol prodigo, del Buon samaritano, quella del Seminato-re, del Buon Pastore, Gli operai dell'ultima ora, o quella dei Talenti.
Di queste parabole, con tutta probabilità ricordiamo pure bene la situazione, alcuni particolari si sono stampati senz'altro nella nostra memoria, come le favole ascoltate da piccoli o qualche libro di avventure letto nella nostra adolescenza. Ma se qualcuno ci chiedesse che cosa significa una di queste parabole, oppure ci chiedesse di spiegargli i vari particolari della parabola, incontreremmo forse qualche incertezza o addirit-tura non sapremmo affatto che cosa rispondere. Un fatto però è certo: le immagini reali, concrete della parabola si sono stampate indelebilmente nella nostra memoria e le ricordiamo bene.
Ecco che cos'è una parabola: un discorso fatto per immagini ricavate dalla vita di tutti i giorni. Tali imma-gini significano dei concetti che sarebbe lungo e complesso (e in certi casi impossibile ed equivoco) spiegare soltanto con le parole. Le immagini sono prese da una realtà che si conosce per indicare una realtà che non è conosciuta a chi ascolta. Tra le due realtà esiste una relazione di somiglianza. è un metodo usato anche dagli uomini: far comprendere una realtà che s'ignora cercando dei riferimenti nell'esperienza che è stata già fatta.
Ma questo tipo di linguaggio, usato da Gesù, diventa espressivo al massimo; le relazioni sono perfette, le immagini vive e forti, vicine al cuore dell'uomo.
Per capire come le immagini rappresentino i concetti facciamo qualche esempio.
Nella parabola del “Figliol prodigo”, il fatto che il Padre lasci partire il figlio da casa indica la libertà dell'uo-mo voluta da Dio e da Dio rispettata: l'uomo è libero di distaccarsi dal Padre, di andare dove vuole; è libero di disubbidire, di sbagliare; è libero di abbandonare Dio.
L'accoglienza che il Padre riserva al figlio angosciato e pentito, consapevole – dopo averne fatto esperienza che non si sta bene che nella casa del Padre –, significa la misericordia di Dio, prontissimo a perdonare, a dimenticare; prontissimo a dare al figlio che ritorna il posto d'onore nella casa.
Vedete quante parole abbiamo dovuto usare per cercare di spiegare le semplici immagini della parabola; e le nostre spiegazioni non sono certo esaurienti, perché in quest'immagini si può leggere altro; si possono trovare altri significati.
– A volte Gesù, invece di fare un lungo racconto in parabole, si limita ad una similitudine, ad una espressio- ne, chiamando con il nome di una cosa conosciuta, una realtà sconosciuta di ordine spirituale. Ad esempio, indica lo Spirito – di cui i suoi ascoltatori non hanno conoscenza –, col nome di acqua viva, che tutti conoscono. Tra queste due realtà esistono alcune somiglianze che permettono di farsi un'idea di ciò che non si conosce, o almeno di un suo aspetto, basandosi su ciò che si conosce.
• Da notare, però, che ogni somiglianza è parziale, limitata: Gesù, infatti, per indicare lo Spirito – o meglio altre qualità dello Spirito –, lo paragona al vento ed anche al fuoco. Lo Spirito ha quindi, tra l'altro, alcune somiglianze con l'acqua, il vento e il fuoco... Naturalmente nessuna immagine esaurisce la ricchezza dello Spirito. Le parole sono perciò un mezzo limitato, anche quando sono pronunciate da Gesù. Sono però il mezzo che ci porta a Lui.
* PERCHè GESù PARLA IN PARABOLE?
Si dice, solitamente, che Gesù parla in parabole per essere capito da tutti, in quanto usa parole semplici, immagini tratte dalla vita quotidiana, alla portata di tutti.
Tale spiegazione non è esatta. Infatti, ci troviamo di fronte più volte ad un fatto curioso: quando Gesù parla in parabole nessuno lo capisce, neppure i suoi discepoli: «Pietro allora gli disse: – Spiegaci questa parabola. Ed egli rispose: – Anche voi siete ancora senza intelletto?» (Cf Mc 4,10; 13,33, 15,15).
Ma allora viene da chiedersi: Gesù parla in parabole per non essere capito? Anche questo non è esatto.
•• Vediamo di affrontare il problema, perché si tratta di un argomento della massima importanza.
La chiave per comprendere tale enigma  ce la fornisce Gesù stesso, in Matteo 13,10ss.
«Gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: – Perché parli loro in parabole? Egli rispose: – Perché a voi è dato co-noscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro no... Per questo io parlo loro in parabole affinché pur vedendo non vedano, e pur udendo non odino e non comprendano. E così s'adempie per loro la profezia di Isaia che dice: “Voi udrete ma non comprenderete, guarderete ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo si è indurito, son diven-tati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non inten-dere con il cuore e convertirsi, e io li risani. Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono!».
Gesù afferma chiaramente – citando il profeta Isaia –, che la parola è data, ma le orecchie del popolo si sono indurite, chiudono gli occhi; c'è il rifiuto ad accogliere la parola, la chiusura del cuore, la decisione di restare separati da Dio, la decisione di non convertirsi. Questo accecamento volontario è la causa della non-compren-sione dei misteri del regno dei cieli, non l'oscurità della parola presentata sotto il velo della parabola.
Per questo Gesù conclude molti suoi discorsi in parabola con l'espressione: «Chi ha orecchi per intendere, intenda!». è un invito alla comprensione, a cambiare atteggiamento, ad assumere un atteggia-mento di ascolto, di accoglienza della Parola.
Gesù afferma: «Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle ai porci!». (Mt 7,6). Nel Prologo del Vangelo di Giovanni è scritto (l, 5ss): La luce splende ne/la tenebre ma le tenebre non l'hanno accolta... Venne tra la sua gente, ma i Suoi non l'hanno accolto... Ma a quanti l'hanno accolto...».
••  Colleghiamo insieme questi passi.
Gesù non tace: parla, parla a tutti. E se parla è per essere capito, per dare Luce. Questa è la sua missione: Illuminare ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1,9). Egli sceglie la forma delle parabole affinché il suo messaggio s'imprima con forza nella mente di chi ascolta, di chi capisce e di chi non capisce. La parabola così ricevuta può destare il desiderio di comprenderla.
– Chi crede a Gesù avendo visto i suoi segni (Miracoli d'ogni tipo), ascolterà con attenzione, si farà suo discepolo per essere maggiormente illuminato. Infatti, ai discepoli spiegava ogni cosa (Mc 4,33).
– Chi non crede a Gesù dopo aver visto le sue opere, non ascolta col desiderio di capire, come luce che viene da Dio; non vuole approfondire la parabola che gli resterà oscura; oppure crederà di averla capita, e sarà soltanto un gesto di presunzione.
In altre parole, la parabola è il mezzo per raggiungere tutti, senza distinzione, senza esclusioni: chi si esclude lo fa da sé. I segni fatti da Gesù e le parabole da lui pronunciate sono per tutti: la spiegazione delle parabole è solo per chi la cerca, è soltanto per chi crede. Comprendere la rivelazione di Dio significa entrare in intimità con Dio, e non possono accedere a questa intimità i cani e i porci, ossia coloro che non si mettono nel giusto atteggiamento nei confronti di Dio. Per questo le parabole usano parole semplici, non parole astratte e difficili. Usa immagini note a tutti. è pronunciata in pubblico. Si imprime facilmente nella memoria.
Tutti odono, tutti possono guardare. La luce è per tutti, ma la riceve solo chi vuole, chi crede, chi domanda, chi si fa discepolo. Le parabole sono un modo per lasciare liberi gli uomini.
Quindi, in conclusione: Gesù parla per essere capito da tutti, ma lo capisce solo chi si fa discepolo.
*  GESù SPIEGA ANCQRA OGGI LE SUE PARABOLE
Qualcuno potrebbe obbiettare che Gesù non ha spiegato tutte le parabole che si trovano nel Vangelo, o se l'ha fatto, queste spiegazioni non sono state scritte dagli Evangelisti. Inoltre, noi non abbiamo la fortuna di avere Gesù vicino come i primi discepoli e chiedergli spiegazione di tutto ciò che dice o ha detto.
Nei Vangeli possediamo la spiegazione fatta da Gesù di circa 7 parabole. Le altre non sono spiegate. Ma una frase nel Vangelo di Giovanni ci apre la strada per la comprensione di tutte le parabole. «Ma il Conso-latore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, Egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (Gv 14,26ss).
I discepoli – pur essendo stati vari anni con Gesù –, erano ancora «sciocchi e tardi di cuore» (Luca 24,25), non comprendevano bene le parabole neppure quando Gesù le spiegava. Non riuscivano ad afferrare neppure i discorsi di Gesù quando parlava apertamente. Ma ricevettero lo Spirito Santo – secondo la promessa di Cristo –  ed allora compresero tutto, ricordarono tutto, colsero il senso di tutte le parole delle Scritture.
La medesima cosa accade oggi a chi desidera esser discepolo di Gesù. è facile che quando si diventa discepoli non si abbia ancora capito molto. Si diventa discepoli di Gesù sull'esempio di altri, leggendo la Bibbia, mossi da qualcosa dentro di noi che ci spinge a credere, a fidarci... Forse per anni camminiamo così, a tentoni, intravedendo qualcosa, ma senza capire... Finché un giorno si chiede al Signore il suo Spirito, fidandosi della sua promessa, ed allora, ecco, tutto si rischiara. Lo Spirito, che è luce, viene e ci ricorda tutto quello che Gesù ha detto e ce lo fa comprendere. Allora cogliamo un altro valore delle parabole: Quelle immagini così vive e semplici impresse nella nostra memoria stavano lì in attesa della venuta dello Spirito, che viene e ne apre il senso misterioso, spirituale.
*  TUTTA LA BIBBIA è UNA GRANDE PARABOLA
Possiamo affermare: tutta la Bibbia è una grande parabola, in cui Dio parla attraverso azioni, attraverso i fatti accaduti a quanti ci hanno preceduto, attraverso i Profeti, attraverso ciò che Cristo ha fatto e detto. «Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro...» (I Cor 10,11).
La Bibbia non usa parole astratte, difficili. Dio si serve di fatti realmente accaduti per insegnarci delle verità profonde. Tutta la storia di Israele diventa una grandiosa parabola che fa comprendere l'agire di Dio, la sua volontà, il significato della vita e della storia dell'umanità, i disegni di Dio per la salvezza degli uomini.
La stessa Creazione diventa una parabola, un insegnamento di Dio che si manifesta a noi attraverso la realtà materiale per indicare la sua potenza, la sua sapienza, il suo amore. –[Come dice San Paolo, in Rom. 1, 18-21].
• E Gesù ci manifesta le medesime cose attraverso le opere che egli compie. Gv 10,38: «Se non volete credere a me, credete almeno alle opere».
   Di fronte a tali insegnamenti possiamo fare come molti contemporanei di Gesù e guardare senza vedere, ascoltare senza comprendere, e sarà un “non-vedere e un non-sentire” volontario e perciò colpevole.
Possiamo, invece, metterci in ascolto: è Dio che parla, è Dio che agisce, è Dio che si rivela. Questo è l'atteggiamento umile e attento del discepolo. Se facciamo così, tutto sarà chiaro per noi: conosceremo Gesù, conosceremo il Padre e pure lo Spirito, conosceremo cioè ciò che di più alto esiste e può essere conosciuto.
Ricordiamo: non è possibile conoscere Dio. Conoscere Dio è un regalo fatto da Dio a chi si fa suo disce-polo». Giac. 4,7: «Dio resiste ai superbi, ma agli umili fa grazia».
Il Signore dà la sua Luce, il suo Spirito a chi lo chiede. Gc. 1,5: «Se qualcuno di voi manca di sapienza la domandi a Dio che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data». Luca 11,19: «Il Padre darà lo Spirito Santo a coloro che, glielo chiedono».
Ancora una volta, a noi la scelta: chi noti capisce Dio che parla è perché non vuole capire.Chiediamo perciò lo Spirito Santo e diventeranno veri discepoli di Cristo e avremo la gioia di entrare nei misteri del regno di Dio!
LA PEDAGOGIA DI GESÙ
Educa con l'esempio ad affrontare persecuzione, passione e morte; ed insegna a vivere nella gioia della  risurrezione.
Il vangelo costituisce il codice della pedagogia cristiana. E lì che il cristiano apprende a vivere ed a comportarsi come seguace di Cristo. Così hanno fatto e fanno i santi di ieri e di oggi. Se san Francesco ha vis-suto sine glossa la povertà di Gesù, don Bosco ne ha imitato il gesto di accoglienza e di educazione dei piccoli e madre Teresa di Calcutta l'atteggiamento di assistenza e cura dei poveri e degli abbandonati.
Volendo individuare alcuni dei capitoli più significativi della straordinaria e sempre attuale pedagogia di Gesù, possiamo elencare i seguenti:
• Gesù accoglie i poveri e gli emarginati;                  • perdona e converte i peccatori;
• guarisce gli ammalati;                              • onora le donne;                    chiama alla sequela;
• accoglie i bisognosi e difende i piccoli e i deboli;          • insegna a perdonare e ad amare i nemici;
• rivela il Padre ricco di misericordia ed insegna a pregarlo con l'invocazione «Padre nostro»;
• educa con l'esempio ad affrontare la persecuzione, la passione e la morte;
• c'insegna, infine, a vivere nella gioia della risurrezione.
2.    Gesù medico delle anime e dei corpi
Illustriamo soltanto alcuni di questi capitoli di pedagogia cristiana.
• Cristo medico dei corpi e delle anime è un titolo fondato sulla realtà del Gesù terreno. Al tempo di Gesù, ovviamente, non esistevano le odierne conoscenze scientifiche circa le malattie e i microrganismi che le possono causare. Nè esisteva un'adeguata teorizzazione dei mali psicologici. Né erano conosciute, almeno in Israele, operazioni chirurgiche significative, ad eccezione della circoncisione, che, ha un carattere socio-reli-gioso, più che propriamente terapeutico. Anche le regole d'igiene erano rudimentali se non carenti, così che me le cure e le medicine, che spesso si riducevano a diete (Lc 8, 55), unguenti e cataplasmi (cf. Is 1, 6; 38, 21), colliri (cf. Ap. 3, T8), bagni (cf. Gv 5, 4). Nel NT vengono descritte menomazioni fisiche come la sordità e il mutismo (cf. Mc 7, 31-37), l'epilessia (cf. Lc 9, 38; Mt 17,14), l'idropisia (Lc 14, 2), le emorragie (cf. Mt 9, 20-22), ecc.
Sono innumerevoli i miracoli di guarigione. Gesù guarisce dalla febbre la suocera di Pietro con un gesto di grande affetto: le «toccò la mano e la febbre scomparve» (Mt 8, 15). Risana il paralitico al quale rimette anche i peccati (cf. Mt 9,1-8). Ridona la salute alla donna, che da dodici anni soffriva perdite di sangue (cfr Mt 9, 2–22). Restituisce la vista ai ciechi (cf. Mt 9, 27-31; 20, 29-34; Mc 8, 22-26): [straordinario il caso del cieco nato, che, gua-rito da Gesù, riempì di meraviglia non solo la folla ma gli stessi genitori (cfr Gv 9,11). Ridona l'udito e la parola a un sordomuto (Mc 7, 31-37) e l'uso dell'articolazione a un uomo dalla mano inaridita (cf. Mt 12-9-14). Risana un epilettico (cf. Mt 17, 1-21), un idropico (cfr Lc 14,1-6) e una donna curva, inferma da diciotto anni (cf. Lc 13, 10-17).
4.     Gesù vittorioso su Satana
Gesù vince non solo il peccato e le malattie, ma anche Satana. Egli libera gli uomini posseduti dal maligno: «Gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati» (Mt 8,16). Risanò i due indemoniati furiosi di Gàdara (cf. Mt 8, 28-34; Mc 5,1-20; Lc 8, 26-39), l'indemoniato di Cafarnao (Mc 1, 21-28; Lc 4, 31-37), un indemoniato muto (cf. Mt 12, 22-24), un altro cieco e muto (Mt 12, 22-24). è vero che a quel tempo disturbi, alterazioni funzionali e malattie come l'epilessia erano considerate conseguenze di possessioni diaboliche. Nella lotta con gli indemoniati, però, Gesù si trova davanti non soltanto a delle persone malate, ma all'avversario del bene, al tentatore e seduttore dell'uomo. E lo vince. Il potere di Gesù è superiore a quello di Satana. Negli esorcismi Gesù non soltanto guarisce una malattia, ma espelle colui che è avversario del regno di Dio. Nella lotta tra il bene e il male Gesù è il vincitore di Satana.
5. Gesù onora le donne. L'atteggiamento di Gesù nei confronti delle donne è un ulteriore esempio della sua disponibilità all'accoglienza ricreatrice degli oppressi ed emarginati. Per questo suo comportamento egli è stato considerato cifra di vera umanità. La testimonianza evangelica è univoca. Gesù accolse le donne, le stimò, le rispettò, le valorizzò. Egli visse in una società e cultura andro-centrica e discriminante nei confronti delle donne, avversate ed umiliate nei loro diritti fondamentali di persone: le donne erano proprietà prima del padre poi del marito; non avevano il diritto a testimoniare; non potevano apprendere la Torà.
In questo ambiente prevenuto, Gesù agi senza animosità, ma con libertà e coraggio.
Egli avvicina le donne, le guarisce, non discrimina le straniere [risana la figlia della donna siro-fenicia, Mc 7, 24-30], supera i tabù della loro impurità legale [guarisce l'emoroissa: Mc 5, 34], le porta come esempio [elogia la povera vedova: Mc 12, 41-44], ne vive l'amicizia [è di famiglia con Marta e Maria, sorelle Lazzaro: (Lc 10, 38-42)]. Una novità inconsueta è l'atteggiamento misericordioso di Gesù verso quelle donne, che erano disprezzate perché peccatrici od adultere, cioè la pubblica peccatrice che nella casa del fariseo per tergergli i piedi di olio profumato (Lc 7, 37-47) o la donna sorpresa in flagrante adulterio (Gv 8,3-11).
Le donne con Gesù ridiventano maggiorenni e vincono l'apartheid della loro cultura. Furono loro ad accom-pagnarlo fino alla croce senza tradirlo (cf. Mt 27, 55). Per questa fedeltà Gesù diede loro la gioia di essere le prime annunciatrici della risurrezione. Apparendo alla Maddalena, Gesù affida a lei il primo gioioso messaggio: «Maria di Magdala andò subito ad annunziare ai discepoli: "Ho visto il Signore", e anche ciò che le aveva detto» (Gv20, 18).
7. Il segreto del comportamento di Gesù
Analizzato alla luce della psicologia del profondo, il comportamento di Gesù è valutato molto positi-vamente: è l'atteggiamento di un uomo equilibrato e straordinariamente armonico. La fonte di tale atteggia-mento non è né la cultura del tempo, fortemente andro-centrica, né la semplice opposizione a tale cultura.
Gesù obbedisce, infatti, alla legge della creazione e della redenzione. Il suo criterio di valutazione è la realtà dell' “inizio”, quella della pari dignità e nobiltà dell'uomo e della donna (cf. Gn 1, 27). Per coloro che parlano di libello di ripudio permesso da Mosè, Gesù ribadisce che «all'inizio» (cf Mc 10, 6) non era così. Egli conosce la realtà della creazione e sa che non soltanto l'uomo, ma anche la donna è immagine di Dio. Sa anche che l'im-magine della persona umana, sfigurata dal peccato, è restaurata dal suo mistero d'incarnazione. Il suo quadro di riferimento è quindi la realtà dell'inizio e quella della pienezza del tempo: è infatti nel suo mistero che l'uomo e la donna ricuperano lo splendore della loro autentica immagine di figli di Dio, con pari dignità e nobiltà. In Gesù «non c'è più Giudeo né Greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna» (Gal 3, 28).
P. Luigi Carlo di Muzio – Adattato da P. Claudio
Ma Gesù sapeva tutto?
  «Ho voluto affrontare con i miei ragazzi del catechismo il problema Gesù. Trattandosi di ragazzi di seconda media, ho creduto opportuno approfondire con loro l'identità di Cristo.
Sul problema della sua “vera umanità” ho trovato seri ostacoli. Gesù Cristo – ho letto su un libro (con lo “impri-matur”) –, non sapeva tutto, dovette imparare: è stato libero... Avevo dedotto, quindi, che Gesù riuscì miraco-losamente a “spogliarsi” della gloria e della potenza che aveva prima d'incarnarsi. In tal modo, su questa terra viveva come ciascuno di noi. E quindi, per esempio, non sapeva oggi cosa gli potesse capitare domani.
Per scrupolo, ho voluto interpellare alcuni sacerdoti. Bene. Da qualcuno ho avuto conferma delle mie conclusioni; da altri sono stato passato per eretico. Per questi ultimi, Gesù era, oltre che uomo, anche Dio e quindi, in tale veste, nulla gli sfuggiva e tutto sapeva».
• Ecco in modo limpido un interrogativo che affiora spesso tra chi desidera approfondire la cosiddetta “questione cristologica” a livello teologico o anche semplicemente a livello pastorale e catechetico.
La questione della coscienza che Gesù ha della sua storia è ovviamente molto complessa. Il teologo, infatti, deve da un lato conservare fedelmente la proclamazione della divinità del Cristo, che è ribadita da tutti gli scritti neotestamentari, ma d'altro canto deve stare attento a non ridurre l'uomo Gesù di Nazareth ad una larva, cadendo così nelle eresie gnostiche.
Ebbene, propria di Dio è l'onniscienza; proprie dell'uomo sono invece la progressività nel conoscere e l'evoluzione bio-temporale. Non per nulla i Vangeli affermano che Gesù «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52), che lui ignora il giorno del giudizio (Mc 13,32) o chi gli abbia toccato il mantello (Mc 5,30-33), che le sue nozioni culturali riflettono le idee scientifiche inadeguate e persino erronee del suo tempo, e che egli soffre realmente.
Ora, la cristologia tradizionale aveva cercato d'ignorare o di semplificare questi dati indiscutibili attri-buendo al Cristo un umanità estremamente esaltata e quasi irriconoscibile: egli avrebbe cioè goduto della visione beatifica in ogni istante della sua esistenza terrena e le conoscenze sperimentali proprie di ogni uomo sarebbero state nel Cristo affiancate da una scienza infusa dall'alto. La cristologia contemporanea ha, invece, posto l'accento maggiormente sulla reale "carnalità" (Gv 1,14) del Cristo, sulla sua gradua-lità e sulla sua evoluzione cosciente.

Da queste due impostazioni nascono le reazioni antitetiche dei "consulenti" interrogati dal lettore. Naturalmente l'orientamento moderno è più fedele al dato biblico e salvaguarda meglio la realtà dell'umanità del Cristo, senza elidere la sua divinità.

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