AFORISMA

Meglio aggiungere vita ai giorni, che non giorni alla vita
(Rita Levi Montalcini)

Nostra Signora del Carmelo

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sabato 18 marzo 2017

INFANZIA DI GESU': I LUNGHI ANNI DI SILENZIO - Padre Claudio Truzzi OCD


– I LUNGHI ANNI DI SILENZIO –
I Vangeli non ci parlano degli anni trascorsi da Gesù a Nazareth, nel nascondimento. Ma gli usi e i costumi del tempo ci aiutano a ricostruirne con sufficiente fedeltà il probabile svolgimento.
L’Evangelista Luca ci dice che Maria fece oggetto di profonda meditazione i fatti che erano accaduti a Betlemme ed a Gerusalemme nei riguardi di Gesù, e soprattutto il suo comportamento di perfetta obbedienza, dopo  l'episodio dello smarrimento nel tempio. 
Questa preziosa ed intima confidenza dell'animo di Maria, Luca l'aveva colta sicuramente dalle stesse labbra della Vergine. In quel tempo si trattava di avvenimenti per lei non del tutto chiari. Perciò li andava meditando ogni giorno, sempre serena, perché la sua anima era totalmente abbandonata in Dio, suo Salvatore.
Tutta la vita di Maria, infatti, fu un continuo atto di fede. Intanto Gesù “cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini” (Lc 2, 52): così termina il racconto lucano sulla infanzia di Gesù. Certamente Maria ne godeva, nell'intimo del suo cuore, perché vedeva che il Padre dei Cieli aveva riposto nel suo Figlio, già fin d'allora, le sue compiacenze. Ella seguiva da vicino questo sviluppo fisico e profetico di Gesù; forse le venivano spesso in mente le parole di saluto che un giorno, ad Bin Karem, le aveva rivolto la cugina Elisabetta: “A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” (Lc 1, 43).
Gesù diventa uomo
In Israele si diventa maggiorenni quando si compiono i dodici anni e si entra nei tredici anni.
L'avvenimento è sottolineato da festosi riti religiosi e comunitari, che si celebrano in sinagoga o in fa-miglia, il sabato successivo al compimento del dodicesimo compleanno del fanciullo. Questa iniziazione si chiama "Bar miswah" (ossia: il figlio della legge), perché da quel momento il fanciullo assume la responsabilità dell'osservanza della legge del Signore.
Si può assistere molte volte al muro del pianto, a Gerusalemme – soprattutto di sabato –  a cerimonie del genere. Si vedono molti ragazzi tredicenni, vestiti a festa in abito di raso, con la papalina bianca o azzurra sul capo e i riccioli che scendono sulle gote. Incedono giulivi nella sinagoga riservata agli uomini, per procedere alla solenne investitura. Li accompagnano il padre o chi ne fa le veci, oltre che dai parenti. Intanto le madri, le sorelle, le zie e le altre donne della parentela assistono fuori dal sacro recinto, oppure nel settore riservato a loro. Anche se non si è ebrei, si può entrare nella sinagoga ed assistere al rito da vicino.
Spontaneo pensare allora a Giuseppe quando accompagnò per la prima volta Gesù nell'aula sacra della sinagoga di Nazareth, riservata agli uomini. Fino allora, invece, Gesù era accompagnato da Maria, nel set-tore della sinagoga riservato alle donne, detto “matroneo”. Il padre del tredicenne ebreo di oggi – come Giuseppe allora –, nel presentare il fanciullo divenuto maggiorenne, eleva una preghiera di ringraziamento a Dio e pronuncia una benedizione di augurio sul figlio, perché da quel momento egli, il padre, è eso-nerato da responsabilità morali e legali nei riguardi delle azioni che il suo figliolo compirà. Il figlio dà con fierezza il suo assenso alle nuove responsabilità che assume. Allora il rabbino prende dall'armadio sacro – dinanzi al quale brilla sempre una lampada –, i due preziosi rotoli della Legge, che sono uniti tra loro e che servono per le grandi cerimonie. Poi li eleva in alto, rivolto al ragazzi e all'as-semblea, che esplode in un inno di giubilo al Signore. Indi li depone tra le braccia e sulle spalle di ciascun giovane; cosi prende il via una festosa processione, accompagnata dal canto di Salmi e di esultanza. Ora nasce un nuovo figlio della Legge di Dio, cui fa giuramento di essere fedele sino alla morte. La cerimonia si conclude con altre preghiere, canti, grida di giubilo elevate dal gruppo degli uomini, e dai battimani delle donne che gettano confetti sui nuovi "figli della Legge". Poi ogni famiglia, con i suoi "uomini novelli", con gli amici ed i compari, se ne va a casa dove è pronto un fastoso e ricco pranzo, che vuole suggellare vistosamente l'importante avvenimento.
Anche per Gesù, sia pure nella forma più modesta propria dei paesi poveri, si svolse nella sinagoga di Nazareth la stessa cerimonia. Maria e Giuseppe ne seguirono con gioia le varie fasi, insieme a parenti e amici, e poi prepararono a casa per il figlio una grande festa, con un bel pranzo a base di carne, legumi, frutta, e molti dolci. Quel giorno per la prima volta Gesù assaggiò il vino. Quel pranzo, anche se da poveri, fu tanto ricco di gioie morale e spirituale. E quella sera Maria pensava che ora aveva in casa due uomini cui accudire.
Tutto questo ci ricorda con espressiva somiglianza i riti della Cresima, che senza dubbio furono introdotti nel primo cerimoniale dai giudeo-cristiani (ossia dai cristiani convertiti dall'ebraismo) come possiamo ancor oggi riscontrare presso i Siriani, che possiedono la liturgia più antica; tuttora tale liturgia si esprime in lingua aramaica, la stessa in uso al tempo di Gesù.
Casa e bottega
Dopo la iniziazione ufficiale d'ingresso nella maggiore età, Gesù è costantemente presente nella bottega del padre, da cui impara c il mestiere di carpentiere; poco per volta le sue mani incalliscono nel lavoro. Il pane ora se lo guadagna pure lui col sudore della fronte, contribuendo al lavoro del padre e della madre.
Maria e Giuseppe lo vedono perfezionarsi ogni giorno di più e pensano che fra non molto egli si assu-merà la responsabilità completa della bottega e della famiglia. Ne sarà capace senza dubbio. Anche i parenti e gli amici riscontrano con piacere questo progresso. Frattanto Giuseppe sente avvicinarsi il suo declino, ma non se ne rammarica; egli – uomo giusto – ha compiuto la volontà di Dio di vero custode di Maria e Gesù.
Quando Giuseppe non riesce a nascondere la stanchezza, Gesù lo invita a sospendere il lavoro, a riposarsi: lui ha le forze e la capacità di cavarsela da solo; alla famiglia non mancherà il pane, proveniente da quel lavoro artigianale, condotto giorno per giorno. Se ne rallegra anche la madre, che continua a meditare nel suo cuore tutte queste cose. Anche lei fatica sodo, districandosi tra i lavori di cucito, bucato, ricamo. Una cura particolare metteva nella pulizia di casa e nel cucinare: il figlio ormai è un giovane lavoratore, che ha bisogno di maggior nutrimento.
Il cibo preparato da Maria non è ricercato, ma sempre impegnativo. Oltre a preparare il pane e i suoi derivati, ella, a seconda dei giorni, fa uso di uova, latte, burro, ricotta, olive, cipolla, frutta, zucchini, fave e le immancabili erbe amare. Questi erano i cibi comuni dei poveri di allora come di oggi, nei villaggi del Medio Oriente. Nei giorni di festa, o in occasione di pellegrinaggi, Maria era sollecita nel preparare e servire carne o pesce, e anche un calice di vino. Ecco perché in simili circostanze, come può essere appunto in un giorno di festa nuziale, Gesù si preoccuperà di cambiare l'acqua in vino, per l'intervento di Maria (Gv 2, 7-10); e in un giorno di viaggio, moltiplicherà i pani e i pesci, per sfamare la gente (Mt 14, 19-20).
Di solito la carne, nelle rare circostanze in cui si serviva, era di agnello o di capretto; Maria aveva cura di dissanguarla bene prima della cottura, in ossequio alle prescrizioni della Legge. La cottura si anticipava sempre al giorno di vigilia della festa, chiamato appunto "parasceve", che significa: preparazione dei cibi cotti". Nei sabati e nei giorni festivi, anche il lavoro di cucina era proibito dalla legge severa del riposo sabbatico.
A tavola con la sacra famiglia
Maria, oltre a seguire le prescrizioni del riposo religioso, osservava anche la legge del "kosher" – una norma antichissima in auge anche oggi presso gli ebrei –. Tale norma proibisce in modo assoluto alcuni cibi, come la carne di maiale, le aragoste, le anguille, ecc., ed impone anche disposizioni sul modo di servire le vivande. Ad esempio, quando si mangia la carne o il pesce, non si può bere il latte o mangiare formaggio.
In proposito, nel libro degli Atti degli Apostoli, leggiamo che, con l'apparizione dell'angelo a Pietro in Joppe, nella casa di Simone il cuoiaio, questa antica legge è abolita per il nuovo popolo di Dio. Ma gli ebrei ortodossi l'osservano ancora scrupolosamente.
Era prescritto anche l'orario per il pranzo: allo scoccare dello zenit (cioè del mezzogiorno astro-nomico) o alla sera. In quest'ultimo caso, quando il pranzo era ritardato alla sera, si consumava a mezzogiorno una zuppa (Dn 14. 32).
I vari cibi venivano predisposti da Maria su un vassoio unico, come fanno ancora oggi le donne dei villaggi: il vassoio viene posto sopra un tavolo e i commensali, seduti in piccoli sgabelli, vi attingono con le mani, ciascuno dalla propria parte. Al posto delle nostre posate, che entrarono in uso solo nel XV secolo, si utilizzavano le morbide fette di pane, preparato con poca mollica e una crosta leggera; questo veniva spezzato e poi distribuito a tutti dal capo famiglia. Tale gesto, nella S. Famiglia, lo compiva da Giuseppe; poi, dopo la sua morte, da Gesù. Con questo pane si prendevano le vivande dal vassoio e si preparava cosi il boccone da mangiare. Ora si comprende la risposta che Gesù diede all'apostolo Giovanni, nell'ultima cena, quando gli chiese chi sarebbe stato il traditore: “Colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò” (Gv 13, 26).
Nei giorni di festa era ancora Giuseppe che prendeva una ciotola o un calice, entro cui Maria aveva versato del vino, e ne beveva, poi lo passava alla sposa e a Gesù, affinché ne bevessero anche loro. Così farà pure Gesù nei pranzi che consumerà con i discepoli e con gli amici; e soprattutto nell'ultima cena.
Il cibo è condito generalmente con aceto; talvolta vi si aggiunge un po' d'olio. Durante i viaggi, oltre al pesce fritto o salato, fresco o conservato, tra un pasto e l'altro si masticano volentieri grani di frumento o di sesamo, per ingannare lo stomaco e tener fresca la lingua. Troviamo traccia di quest'uso nel vangelo di Luca che racconta come, in un giorno di sabato, i discepoli di Gesù coglievano e mangiavano delle spi-ghe, sfregandole con le mani (Lc 6, 1). I farisei li rimproverano, non perché avessero compiuta un'azione contro la proprietà, ma perché facevano in giorno di sabato un lavoro proibito dalle loro prescrizioni. Gesù li difende pronunziando quella famosa sentenza: "Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato" (Mc 2, 27).
Possiamo pensare che Maria sia stata particolarmente abile nel tessere e nel ricamare. Ne abbiamo un esempio dalla tunica inconsutile che aveva confezionato per Gesù e che i carnefici non vollero dividersi tra loro: la consideravano di valore, per cui preferirono sorteggiarla (Gv 19, 24).
Vita di preghiera
Possiamo ben immaginare quanto la giornata della S. Famiglia sia stata punteggiata dalla preghiera.
Tutta la vita di Gesù, Maria e Giuseppe fu una continua contemplazione di Dio. Ce lo ha ricordato Paolo VI con accenti commossi nel suo messaggio da Nazareth, il 5 gennaio 1964. Ha affermato che la casa di Nazareth è stata per eccellenza il santuario della preghiera, sublime esempio e modello di quella preghiera che debbono innalzare le famiglie e le comunità veramente cristiane.
[La preghiera è oggi molto trascurata. Si dà più spazio all'azione, anche se apostolica, che alla contemplazione. E non si pensa che tutto il nostro lavoro è inutile se non è Dio a renderlo fruttuoso].
Oltre alla costante preghiera in casa, la Famiglia era assidua frequentatori della preghiera pubblica, nella sinagoga del paese. Vi andava tutti i sabati e nei giorni festivi, e anche in qualche giorno feriale, specie il mercoledì. Così faceva ogni pio ebreo, e così certamente facevano anche loro. Nella sinagoga si recitavano i salmi e si ascoltavano attentamente le letture sacre, seguite dalle spiegazioni che venivano impartite.

Ma ci è facile immaginare che la preghiera più bella, più dolce e più soave, Maria la facesse insieme a Gesù, che amava come figlio ed adorava come Dio. Egli era il centro di tutta la sua vita, delle sue occupazioni e preoccupazioni, con una sconfinata dedizione di amore che non si può misurare. Il grande oratore san Giovanni Damasceno, non esita ad affermare che Maria era così assorta in Cristo da "igno-rare persino quello che accadeva davanti alla porta di casa". E così nella preghiera, nel silenzio del nascondimento, nel lavoro quotidiano, la sacra Famiglia ha trascorso i suoi anni, fino a un certo giorno in cui fu visitata dal dolore, che lasciò un vuoto profondo: la morte di san Giuseppe. 

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